Durante la lettura di Progettare secondo natura di Nancy Jack Todd e John Todd uno dei testi più interessanti sull’architettura naturale, mi sono imbattuto in una domanda che non mi ero mai posto prima:“qual è il più piccolo sistema vivente autosufficiente sul pianeta terra?”.Ho iniziato a pensare che la risposta fosse da cercare tra i più piccoli organismi presenti sul nostro pianeta, immaginando che più piccoli si è e meno si ha bisogno dell’ambiente intorno. In pochi passaggi la mia visione si è ribaltata e dal più piccolo sono passato al più grande ed infine al tutto. In effetti non c’è, sul nostro pianeta, una qualsiasi forma di vita che non dipenda dall’ambiente circostante. Tutti ricaviamo nutrimento da ciò che abbiamo a disposizione. I nostri corpi si sono plasmati, nel processo evolutivo, per poter crescere assumendo sostanze dall’ambiente circostante. E, alla fine della vita, tutti torneremo ad essere parte del pianeta, dopo aver subito diversi, a volte numerosi, processi di trasformazione. Il nostro pianeta in sé è, quindi, il più piccolo sistema vivente autosufficiente…sulla terra. Al di là del Sole, contiene in sé tutto ciò di cui ha bisogno: è un sistema chiuso. E l’architettura naturale, in particolare quella in terra cruda, è la più rispettosa dell’equilibrio del pianeta.

Ma cosa significa costruire con la terra cruda?

Significa impastare, con l’ausilio di acqua, della terra scavata ad un’adeguata profondità del terreno (subito sotto lo strato organico del suolo così da ottenere del terreno contenente argilla), aggregando all’impasto fibre vegetali e/o inerti per controllare il tenore di argilla dell’impasto stesso. L’argilla svolge, nelle costruzioni in terra cruda, l’azione che svolge il cemento portland nel calcestruzzo: è il legante che tiene insieme tutti gli ingredienti. La semplicità di questi ingredienti e dei processi per confezionarli, conferisce ad un edificio in terra il suo più grande ed ineguagliabile pregio: non trasformarsi in rifiuto alla fine del suo ciclo vitale. Una casa costruita in terra, utilizzando cioè terra cavata dal suolo e addizionata a sabbia e fibre vegetali, al momento della sua demolizione tornerà ad essere il suolo dal quale ha preso vita. Questa certezza può essere confermata dall’analisi chimico-fisica di un manufatto in terra, ma anche dall’osservazione dall’alto di città quali Al-Hajarayn nello Yemen, assimilabile ad una scultura ricavata direttamente dalla roccia madre da cui sorge o, dalla visione dai piedi della falesia Bandiagara, di un villaggio Dogon incastonato a mezz’ altezza nella roccia sedimentaria e protetto da un abri souverain offerto da un’ampia sporgenza del massiccio. Le stesse considerazioni sono valide per costruzioni contemporanee come il quartiere di alloggi sociali nella cittadina di Villefontaine, realizzato dall’OPAC (Office Public d’ Aménagement et de Construction) della regione di Isère, in Francia, tra il 1983 e il 1985, o della casa privata di Martin Rauch a Schlins, nella regione del Voralberg in Austria, o ancora per le case in terra tra le Marche e l’Abruzzo, abbandonate in gran parte negli anni successivi al boom economico ed ora oggetto di studi ed iniziative di recupero conservativo coordinate dal CED Terra.

Al-Hajarayn, Hadramut, Yemen                                                                                Villefontaine, Isère, Francia

Casa Rauch a Schlins, Voralberg, Austria                      Villaggio Dogon, Falesia di Bandiagara, Mali

 

L’architettura in terra cruda sta conoscendo una nuova stagione di interesse e applicazione dopo che, negli ultimi 150 anni, il cemento ha velocemente soppiantato ogni altro sistema costruttivo in nome di un’economia basata su un concetto di sviluppo non olistico, dando l’impressione che sia stato ignorato il concetto basilare per cui nessun organismo o sistema può crescere all’infinito. Conoscenza e, per alcuni, coscienza ci stanno spingendo oggi a fare un passo indietro nella corsa allo sviluppo economico adottando materiali e sistemi costruttivi sostenibili per il nostro pianeta. Il passato ci ha consegnato case e luoghi di lavoro in terra cruda costruiti con le tecniche del pisé, dell’adobe, del torchis, del bauge, vissuti da circa un terzo della popolazione mondiale, realizzati seguendo semplici principi di economia, qualità dell’abitare, socialità

 

SOSTENIBILITA’ ECONOMICA

Una costruzione in terra è economicamente vantaggiosa perché utilizza la terra stessa del sito di cantiere, materiale locale a Km zero. Per la gran parte della costruzione non si devono acquistare materiali, né farli arrivare da lontano. Immaginate un certo numero di camion che trasportano sul vostro cantiere materiale cavato, lavorato, forgiato, cotto, caricato e, dopo aver percorso centinaia di chilometri, scaricato. Beh…con una casa in terra potete smettere di immaginare tutto questo. Come si evince dalla tabella riportata in seguito, ad un minore utilizzo di tecnologie avanzate corrisponde un maggiore carico di ore di lavoro manuale. Qui l’intraprendenza e la formazione di chi vuole costruirsi una casa in terra permette di ridurre anche i costi di edificazione offrendo la possibilità dell’autocostruzione. 

BENESSERE

C’è un indiscutibile beneficio per il benessere dell’uomo che vive in case di terra cruda. Un muro in terra dalla massa volumica di circa 1000 kg/mc è caratterizzato da un’elevata inerzia termica ed è in grado di immagazzinare l’energia radiante ricevuta dal sole. Come un grande radiatore, la parete in terra cederà naturalmente (e lentamente grazie agli alti tempi di sfasamento termico) il proprio calore all’ambiente circostante quando la temperatura dell’aria si abbassa. In tutti i paesi caldi questo principio è conosciuto ed applicato con successo da sempre dando vita a splendidi paesaggi urbani come quello di Gadamès, in Libia dove i muri delle case sono addossati gli uni agli altri e riparati da un tessuto di tetti piani forati in punti strategici al fine di attivare la circolazione dell’aria e mantenere una temperatura fresca e ventilata naturalmente. Una possibilità nelle costruzioni contemporanee è di associare l’impianto di riscaldamento radiante a parete (che sia esso ad acqua o a resistenza elettrica) ad un’intonacatura in terra composta da diversi strati: uno strato di intonaco alleggerito isola la fonte di riscaldamento verso l’esterno, mentre uno strato corposo e massivo è applicato verso l’interno e completato con finiture anch’esse a base di argilla. In questo modo la parete diventa un enorme corpo radiante che lavora ben oltre lo spegnimento dell’impianto diminuendo così i consumi. Una caratteristica meno evidente ma molto apprezzata di una parete costruita in terra è la sua capacità di regolare l’umidità dell’ambiente che delimita: un aspetto molecolare della terra chiamato CSC capacità di scambio cationico determina la capacità di una parete in terra di assorbire una determinata quantità di acqua sotto forma di umidità presente nell’aria e restituirla quando l’aria risulta eccessivamente secca. Si stabilisce quindi un equilibrio igrometrico grazie all’interazione della parete con l’ambiente. La casa, così, respira. E questo è un bene.

Nella tabella ce segue sono indicate le quantità di umidità assorbita dall’ambiente in un dato tempo da diversi materiali, tra cui l’argilla.

 

 

Nel campo dell’invisibile poi , un muro in terra si lascia attraversare difficilmente dalle onde elettromagnetiche evitando così l’omonimo inquinamento, causa di malesseri per molte persone. Ed ancora la porosità della terra è un’ottima trappola per gli odori che vengono velocemente neutralizzati. 

PARTECIPAZIONE

La sistematizzazione della ricerca sulla terra cruda a fini costruttivi negli ultimi 50 anni, condotta da l’interesse scientifico oltre che dalla passione personale di architetti, ingegneri o ricercatori universitari, ha portato alla nascita di regolamenti edilizi in merito. In Europa alcuni paesi sono stati più pronti di altri a recepire queste istanze: la Germania nell’ultimo decennio si è dotata del Lehmbau Regeln, un vero e proprio prontuario che indica il corretto esercizio di una determinata tecnica costruttiva in terra; la Francia ha visto nascere in seno alla facoltà d’architettura di Grenoble, il CRATerreuno dei centri di ricerca europei più attivi e prolifici in termini di produzioni scientifiche e formazione di alto livello. Questo corpus di conoscenze, oggi accessibile a chiunque ne sia interessato, è stato trasmesso nei millenni di padre in figlio o di capo-mastro in apprendista garantendo il perpetuarsi di un’importante tradizione costruttiva. Ogni abitante di un villaggio costruito in terra cruda è cresciuto partecipando alle operazioni di manutenzione delle murature esterne, seguendo le tradizioni del proprio paese. Nell’Africa sub-sahariana all’esterno di ogni casa, in una vasca scavata nel terreno, viene preparato l’impasto di terra a cui si aggiungono fibre vegetali ed escrementi di asino o mucca che conferiscono all’impasto resistenza meccanica e agli agenti atmosferici…almeno fino alla prossima stagione delle piogge. L’opera collettiva e comune di manutenzione delle case e degli edifici pubblici costituisce uno dei leganti sociali più forti per comunità che vivono di economie basate sull’autosussistenza e la cooperatività. 

Nel breve filmato che segue, una donna Kassena, ripristina il decoro murale di una proprietà in una zona rurale del Sahel tra il Mali e il Burkina Faso utilizzando misture di terre diverse. Questa operazione, eseguita al fianco di altre donne, consolida sia la struttura dell’edificio che l’identità culturale delle donne e degli uomini che l’hanno costruito.

video: le donne Kassena

Nella città di Djenné, in Mali, il primo giorno di aprile di ogni anno coincide con l’inizio di una festa che durerà un mese e durante la quale tutta la popolazione, divisa per quartieri, concorrerà al rifacimento dell’intera intonacatura della Moschea della loro città, la più grande Moschea in terra cruda del mondo islamico. 

video: una città in festa 

 

 

La convinzione degli abitanti di Djenné che l’argilla di quella zona abbia qualcosa di speciale, forse deriva proprio dal fatto che è qui l’argilla è parte (protagonista) di un continuo ciclo che la vede raccolta in una stagione, messa in opera sui muri in quella seguente, per poi aspettare che la pioggia ne dilavi un pò dai muri e la riporti a valle. Dove sarà raccolta di nuovo.

La città di Djenné, che rinasce ogni anno da se stessa, è per me l’espressione massima del concetto di sostenibilità architettonica.

“For human shelter we can only use those materials that can be found on the surface or upper layers of the earth – where man lives: earth, stone, brick, wood, reed, clay etc. […] Of primary importance is the relationship between material and mankind. The energy and love invested in the material, the dialogue between the workman and the material is engraved permanently in the material and remains visible for all who later live in tis surroundings.”
Hassan Fathy