Era passata una settimana dal mio rientro in Italia dopo quattro anni in Svizzera.

Nel gestire il colpo inferto dalla fine di una storia d’amore e l’ancestrale bisogno di occupazione mi sono spinto a fare una breve ricerca in internet digitando il nome di Fabrizio Carola, un architetto del quale avevo visto un ospedale in Mauritania. Un fiore nel deserto, dove le persone malate potevano farsi curare avendo sempre accanto i familiari.
Preso il telefono e chiamato il numero a cui doveva corrispondere la segreteria della N:EA, mi risponde quello che da allora in poi sarà per me l’Architetto.
Avevo intenzione di parteciapre ad un workshop in Italia a S.Potito, e la risposta fu che l’unico modo per vedersi nei prossimi mesi era andare in Mali, dove lui sarebbe arrivato dopo una settimana.
Arrivai a Bamako quindici giorni dopo. E ci rimasi sei mesi.
Non a Bamako, ma a Sevaré, dieci km da Mopti sul Fiume Niger.
Niger generoso che offre pesce, acqua per le risaie, per lavare le capre e le jeep, per navigare (ma non sempre) verso Gao, nuova frontiera dei Tuareg.
Ho lavorato molto, al fianco dell’Architetto, ho fatto il mio pranzo di natale insieme al mio amico Porogo, in cantiere, con riso e pesce e gazzosa, ho comprato una moto, ho bevuto tanto tè verde, ho amato ed ho viaggiato, ho fatto tanti impasti di bancò (il nome che prende al terra cruda in Mali), ho imparato a salutare chi incontravo nella sua lingua, mi sono ammalato, sono tornato e ritornato.Ho scattato foto, riportandomi indietro sabbia in ogni interstizio della mia attrezzatura fotografica e tanti racconti.